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Rimborsi ex specializzandi, ancora docce fredde per la classe 1993-2006. Il punto su opportunità dell’appello

Ritentare in appello o mollare? Si susseguono docce fredde in questa fase per gli ex specializzandi della classe 1993-2006, quelli che percepivano la borsa di studio da 11 mila euro ma non il contratto. I giudici nelle sentenze più recenti affermano che il diritto a quest’ultimo, dal valore più che doppio tra contributi, assicurazione e adeguamenti, in realtà nelle norme comunitarie non si legge. Il 28 maggio scorso una sentenza della Corte di Cassazione sezione lavoro, la 19028 su 35 medici modenesi (depositata il 6 luglio), ha affermato che il contratto si applica per la prima volta agli immatricolati alle scuole di specialità nell’anno accademico 2006-07. lo stato italiano è sempre stato libero di rinviare gli effetti della direttiva europea 16 del 1993, che pure chiedeva di contrattualizzare i medici specializzandi negli stati membri. Sei giorni dopo (3 maggio) il Tribunale di Roma con sentenza 11704 ha ribadito concetti simili a 304 ex specializzandi.
Premettendo che le direttive Ue non sono auto-esecutive – vanno prima attuate dall’ordinamento italiano per essere applicate da un giudice – ha spiegato che la 93/16 nulla ha imposto allo stato italiano in termini di contributi, assicurazione etc e che il decreto legislativo 368 del 1999 che ha introdotto le “migliorie” (quantificate ed applicate solo nel 2006) non attua la 93/16 quindi questa non può essere invocata per avere norme più cospicue. Dato il numero dei ricorrenti, l’eco è stata ampia. Alcuni lettori ci hanno manifestato delusione e incertezza se appellarsi o meno, di fronte a costi intorno ai 2 mila euro dei ricorsi (e in altri casi anche superiori). Giova dire, come ricorda l’Avvocato Marco Tortorella dello Studio Tortorella & partners, che anche per il caso degli specializzandi 1983-1991 (che la borsa non l’avevano proprio avuta pur in presenza di una direttiva Ue cogente) si è dovuta attendere una decina d’anni di discrezionalità di tribunali e corti d’appello prima che la Cassazione delineasse le responsabilità dello stato italiano in modo definitivo. «Si tratta di una materia nuova, oggetto persino di un master specifico tenuto all’ateneo Luiss quest’estate: né l’ordinamento europeo né quelli degli stati membri disciplinano la responsabilità degli stati – spiega Tortorella -al loro posto lo fanno le sentenze dei giudici, cioè le cause, e purtroppo in Italia gli alti costi burocratici sono una risposta del legislatore al proliferare delle liti civili».
Quanto al merito della questione, la direttiva 93/16 per Tortorella è tutt’altro che inoperosa: «Trasforma la borsa di formazione dello specializzando europeo in contratto, e per attuarla nel 1999 lo stato italiano emanò il decreto368che inizialmente parlava di “contratto di formazione lavoro”; subito dopo un altro decreto specificò che era “di formazione” e basta. Alcune sentenze di vario grado, Cassazione inclusa, osservano che le direttive Ue chiedono una adeguata remunerazione ma non specificano quantum/inquadramento/chi debba erogare il contratto. Lasciano discrezionalità allo stato membro, che solo nel 2006 -sedici anni dopo il decreto 257/91- ha portato di colpo da 11.300 a 26 mila euro annui la retribuzione del medico specializzando. Come Consulcesi, per inciso non coinvolta nel giudizio cui fa riferimento la recente sentenza 19028, contestiamo anche in base a un parere dell’ex presidente di Sezione III di Cassazione professor Sergio Di Amato la linea secondo cui sarebbe discrezione dello Stato membro applicare quanto le direttive Ue non sembrano dire».

«Già nel ’78 le direttive Ue stabiliscono che lo specializzando ha diritto ad adeguato trattamento e remunerazione. E, perché siano garantiti in ogni stato Ue ove il medico si trasferisca cure e competenze il più possibile di uguale qualità, richiede la frequenza a tempo pieno del corso di specialità: nel frattempo lo specializzando non deve fare altri lavori retribuiti, ma a questo punto si impone allo stato membro di pagare una borsa. Il decreto 257/91, pur tardivo, prevedeva forme di adeguamento della borsa al carovita, poi bloccate negli anni Novanta da decreti successivi, e persino l’adeguamento al contratto ospedalieri (con scatti decisi ogni 3 anni) che fu inizialmente bloccato e poi sbloccato ma mai pagato. Si arriva così nell’autunno 2006 (dopo la Finanziaria 2006 e successivi Decreti del premier, ndr) a uno scatto che da un giorno all’altro porta gli emolumenti a più del doppio del giorno prima e mette in pratica il contratto definito dal decreto 368/99. Ma in sedici anni il potere d’acquisto della borsa da 11 mila euro non è rimasto uguale, e nel mancato compenso che per il medico ha costituito una preoccupazione economica da cui secondo le direttive andava tenuto “scevro” sta secondo noi la violazione della direttiva 93/16. Oltre che nell’illegittimo blocco della determinazione triennale degli scatti in base agli aumenti della contrattazione collettiva. A darci ragione ci sono due sentenze della Corte d’Appello di Roma del 2014 e 2015, e altre delle Corti d’Appello di Palermo (su rinvio della Cassazione) e Torino oltre che di Tribunali ordinari. La giurisprudenza non è univoca, ma dove si parla di responsabilità statali all’inizio non è facile lo sisa».

Mauro Miserendino (Doctor33)

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