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I medici specializzandi vanno remunerati adeguatamente. I chiarimenti della Corte Ue

I medici specializzandi italiani debbono essere adeguatamente remunerati. Lo prevede una sentenza della Corte di giustizia europea emanata ieri. Se infatti, entro il 31 dicembre 1982, gli Stati dovevano quantificare, con legge nazionale, l’entità della remunerazione, l’Italia ha provveduto con quasi 9 anni di ritardo, con effetti a partire dall’anno accademico 1991/1992. Tra il 2001 e il 2003, alcuni medici si sono rivolti al Tribunale di Palermo chiedendo la condanna dell’Università degli Studi di Palermo e dello Stato italiano al pagamento di una remunerazione appropriata per i corsi di specializzazione da loro seguiti tra il 1982 e il 1990, o quantomeno al risarcimento dei danni per la mancata trasposizione della direttiva. Quei medici – ricorda una nota della Corte Ue – hanno perso la causa in primo grado. Nel 2012, invece, la Corte di appello di Palermo ha condannato lo Stato italiano a pagare a ciascuno di loro un risarcimento per la mancata remunerazione durante la specialità. La Corte di Cassazione, adita dallo Stato italiano che ha impugnato la sentenza d’appello, ha sospeso il procedimento e si è rivolta, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia chiedendo di interpretare la direttiva. In particolare, la Cassazione ha chiesto: se la direttiva sia applicabile ai corsi di specializzazione, a tempo pieno o a tempo ridotto, iniziati prima del 31 dicembre 1982 e completati dopo tale data, sino al 1990. In caso di risposta affermativa al suddetto quesito, la Cassazione chiede se l’obbligo di remunerazione adeguata per i medici specializzandi sorga immediatamente per effetto della direttiva oppure solo per effetto della trasposizione della stessa nell’ordinamento nazionale; e se l’obbligo di remunerazione adeguata valga per i corsi di specializzazione svoltisi “a cavallo” del 31 dicembre 1982, anche per la parte di corso anteriore a tale data.

Con la sentenza di oggi la Corte afferma, innanzitutto, che la direttiva si applica a tutti i corsi di formazione specialistica, a tempo pieno o a tempo ridotto, iniziati a partire dal 1982, anno di emanazione della direttiva. Tali formazioni specialistiche, quindi, devono essere adeguatamente remunerate, a condizione che si tratti di una specialità comune a tutti gli Stati membri oppure comune a due o più Stati membri e menzionata dalla direttiva sul mutuo riconoscimento dei titoli di studio. In secondo luogo, la Corte stabilisce che detto obbligo di remunerazione sorge immediatamente con la direttiva, a prescindere dal suo recepimento nel diritto nazionale. In effetti, l’obbligo di remunerazione previsto dalla direttiva è, in quanto tale, incondizionato e sufficientemente preciso. Quindi se, come è accaduto in Italia, mancano le norme interne di trasposizione, la quantificazione della remunerazione agli specializzandi va effettuata dal giudice mediante l’interpretazione di altre norme del diritto nazionale. Se ciò non è possibile, e sarà il giudice nazionale a stabilirlo, allora il mancato recepimento della direttiva deve essere considerato come un inadempimento dello Stato, che comporta a suo carico l’obbligo di risarcire i singoli soggetti danneggiati. A tal riguardo, il risarcimento dovrebbe essere quantomeno pari alla remunerazione prevista dalla successiva normativa di trasposizione della direttiva, fatta salva la possibilità per i medici interessati di provare danni ulteriori per non avere potuto beneficiare della remunerazione nei giusti tempi.

In terzo luogo, la Corte dichiara che, per i medici che abbiano seguito, a tempo pieno o a tempo ridotto, dei corsi di specializzazione “a cavallo” del 31 dicembre 1982, il diritto alla retribuzione sorge solo a partire dal giorno successivo a tale data, quindi dal 1° gennaio 1983. La stessa direttiva, infatti, ha previsto che, sino al 31 dicembre 1982, gli Stati membri avessero il tempo di adeguarsi.

 

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