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Assunzioni medici, da straordinari a partite Iva ecco le richieste delle Regioni al ministero

Assunzioni mirate -con tanto spazio per gli specializzandi -e a oneri minimi, tutt’al più a fronte di qualche incentivo, e qualche ulteriore sacrificio tra compiti affidati ad altri professionisti ed ore straordinarie in più: le Regioni presentano oggi al Ministro della Salute le loro proposte “sostenibili” per ovviare alle carenze di medici in molte branche specialistiche spopolate sia dai pensionamenti sia dalla crisi di vocazioni. Il coordinatore degli assessori salute, il piemontese Luigi Icardi, divide le richieste del documento, da formalizzare in queste ore, in proposte tampone e strutturali, dedicate per lo più ai dipendenti (mentre per i medici di famiglia il tema chiave sembrerebbe in prima battuta l’armonizzazione dei corsi triennali regionali di formazione). Molte saranno ridiscusse al Patto per la salute. E’ onerosa l’idea di un premio in percentuale sulla spesa per il personale – si parla di un 3% – per le regioni virtuose o che da almeno 3 anni hanno vinto il deficit; altrettanto onerosa la proposta di reclutare specializzandi al 4° e 5° anno con contratto di formazione lavoro anche da branche affini a quelle nelle quali al bando di concorso specifico non si è presentato nessuno; e sempre sullo specializzando arriva l’idea di ridurre ulteriormente la durata dei corsi e, in caso di concorsi deserti, attingere fino in fondo alle graduatorie una volta esauriti i posti a bando (cosa oggi impossibile).

Tra i provvedimenti-tampone c’è la richiesta di ingaggiare per un massimo di 3 anni medici a partita Iva, neolaureati senza necessario possesso di specialità, sulla falsariga di quanto avvenuto per l’emergenza-urgenza in Toscana e Veneto. Infine, due difese “estreme”: deroga alla disciplina europea sugli orari di lavoro e riversamento di compiti del medico ad altri professionisti sanitari ove questi ultimi li possano espletare. Stefano Guicciardi presidente Federspecializzandi trova alcune proposte valutabili, altre – riduzione della durata dei corsi di specialità – irricevibili. «Stiamo lavorando con altre sigle a documenti congiunti. Non escludiamo la mobilitazione, ove si perseguisse la strada del risparmio e del taglio degli investimenti in modo da penalizzare durata e qualità della formazione della nostra categoria». La riflessione di Guicciardi parte da una domanda: «Il mancato turnover è figlio solo di cattiva programmazione o anche di una cattiva offerta del panorama lavorativo? In entrambi i casi non possiamo rispondere solo con misure emergenziali che non vadano al cuore del problema. Bene chiedere aumenti in percentuale per il personale, da dedicare a bonus ed incentivi per rendere più appetibili una professione gravata da superlavoro e per l’attività in strutture periferiche poco attraenti; bene attingere fino in fondo alle graduatorie concorsuali, dandosi (le aziende sanitarie) e dando più opportunità; bene anche in caso di carenze in una disciplina l’idea di estendere le equipollenze così da attingere a specialisti in branche affini; meno bene “shiftare” competenze ad altri professionisti in un contesto emergenziale senza prima delineare opportuni percorsi formativi o peggio ancora derogando sui limiti imposti dalla direttiva europea sugli orari di lavoro, si rischia il burn-out del professionista. Male, tendenzialmente, tutte le misure che ricorrono al lavoro straordinario a isorisorse: si tratta di lavoro che va pagato adeguatamente, pur misura d’emergenza lo straordinario va visto come slegato dalla necessità di risparmiare».

Quello che Federspecializzandi osteggia è la revisione al ribasso dei percorsi formativi. «E’ follia, nel 2015 si è già ridotta la durata dei percorsi e non sono stati ottenuti i risultati di risparmio sperati. Le risorse ricavate sono state insufficienti rispetto alle reali esigenze e l’imbuto formativo ha continuato ad allargarsi. Ora siamo ai minimi, l’Europa ci impedirebbe di ridurre ancora la durata della maggior parte dei corsi, e certo uno specialista formato in fretta non ci servirebbe. I chirurghi devono avere “ore di bisturi alle spalle”, e i curricula formativi di cui disponiamo sono inadeguati perché a stento dicono cosa il medico deve saper fare, e non definiscono né i livelli di competenze necessari né come si acquisiscono tali livelli. All’uscita del decreto legge Calabria contestato dalla quasi totalità delle associazioni dei medici in formazione, quando si parlava addirittura di 13 mila specializzandi pronti a entrare in corsia abbiamo ricordato come gli specializzandi già lavorano nei reparti e nelle reti formative, anzi lavoriamo in corsia con compiti assistenziali, spesso anzi più a lungo del dovuto, e abbandonati a se stessi, sobbarcandosi rischi talora elevati a fronte di un contratto dove ancora vanno definite eventuali autonomie crescenti e relative tutele».

Mauro Miserendino (Doctor33)

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